Leonardo

Fascicolo 1


Vita Trionfante
di Giuliano il Sofista (Gioseppe Prezzolini)
pp. 4-5
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Ad Angelo Conti.

Il mistero non è nell'invisibile,
ma nel visibile.

O. Wilde

SIGNORE, fra i vostri ammiratori sono io pure; giovane, vedo in questa stagion della vita i miei coetanei aver di sovente bisogno di Iddii e di Idoli; essi sono assai più tradizionali di quel che la tradizione non racconti; ma il loro esempio non mi tenta, e sentendomi forte di bastare a me stesso, non voglio cambiare l’ammirazione in adorazione, nè lasciare la penna per prendere il turibolo; io sono un ateo, e mi sento iconoclasta, amando, nel senso più largo di questa parola, la distruzione che libera; io non pago tributo a nessuno; non milite e neppur capitano: poiché se nessuno io seguo, nessuno pure segue me; io, guardo gli uomini e le cose, ma non per giudicarle: io son piuttosto, se volete, uno spettator solitario, creatore di interni valori. Io vi scrivo dunque signore per testimoniarvi solo il perchè della mia ammirazione; ho letto volta per volta le vostre pubblicazioni ed ho atteso con impazienza ne le riviste l’annunzio de la vostra parola. Non è, a dir vero, che io abbia le vostre stesse idee: io non sono un Platonico; il discepolo di Socrate, mi sembra essersi troppo inclinato, come il maestro, davanti la logica, la mia prima nemica, il mio avverso demonio; io non avrei, come lui, sui suoi altari, sacrificata nella mia Repubblica l’arte, per quanto menzognera e fallace possa essa essere; anzi, dirò, l'arte mi sembra un grado di conoscenza e profondo abbastanza per raggiungere il reale almeno quanto (e perchè non più?) de la Scienza. Io non sono collettivista, perchè nel donare trovo grande piacere, e quando tutto fosse a tutti non saprei come soddisfare questo bell'egoismo. Non amo molto neppure la vita militare, e Platone pose troppo in alto, a mio sentire, i soldati; utili servitori, e nulla più, questi crostacei una volta ornati di cosi vivi colori, da le antenne brillanti e da le lucenti armature, son diventati oggi dei piccoli granchiolini grigi, tutti egualmente insolenti e insolentemente eguali; persero le loro corazze, ed esse ora mi piacciono solo ne gli armadi dei musei e nelle silenziose sale degli antichi Escuriales. Non credo neppure le nostre idee reminiscenza di vita anteriore — e malignerei per molti lo sian piuttosto di recenti letture, — nè molto m'importerebbe di una loro reale esistenza al di fuori di noi. Però io non voglio farvi lezione di Platonismo, ma piuttosto confessarvi perchè io vi ami.
  Bisogna che io vi dica, che se fossi un tedesco, avrei fatto, come Schopenhaur della volontà, come Froschammer delia fantasia, avrei fatto del Sogno l’essenza de l’uomo; anzi, con una specie di manicheismo Platonico, oppostolo al mondo materiale, avrei trovato in lui l’origine de la poesia, de l’arte, de la religione, de le scienze e de la filosofìa, la ragione delle leggende e dei miti popolari, il perchè della creazione umana di Paradisi ed Inferni, di terre scomparse e di età dell’ oro, di utopie ed ucronie, di civiltà e città future e di viaggi straordinari. Ora voi siete un sognatore e dei vostri sogni mi avete spesso fatto dono. Voi vi siete allontanato da le strade piane e battute — strade polverose che fan arder la gola di sete — e avete così completamente abbandonato ogni scrupolo logico, ogni richiamo al senso comune e al buon senso, e avete fatto ciò con la semplicità del fanciullo, ossia come voi ben sostenete, del poeta, e con una naturalezza tale di dettato — che io pianamente e come quando si è presi dal sogno mi abbandonava fra le vostre braccia, assaporando lontano dai rumori del volgo i vostri scritti come voluttuosi afrodisiaci orientali. Voi mi siete stato pilota per le isole del sogno, queste felici isole che già l’antico poeta simboleggiava nei mangiatori di Loto. Voi mi avete rivelato infine alcune provincie di quel paese in cui spesso viaggio, la terra de l’assurdo, per cercarvi, secondo l’idea del mio valoroso fratello d’armi Gian Falco, logiche differenti da quella volgare comune ad ogni vivente.
  Nè crediate che con queste parole io voglia dirvi paradossale, che sarebbe insultare me e voi ; da che il paradosso cadde ne le mani del filisteo e che quest' arma fu da lui lordata ed abbassata a vili bisogna, il Dio del pensiero corrucciato più non la rende feconda di stragi; troppa gente ormai ha imparato a rivoltare i luoghi comuni e si veste d'abiti rovesciati. Quando i piccoli invadon la strada dei grandi conviene che questi l'abbandonino e n’apran di nuove; gli spiriti tormentati fan così lungo cammino; ed è bene, ed è bello per gli spettatori che delle strade e dei piccoli e dei grandi si giovano — ed è bene, ed è bello per gli spettatori che delle strade e dei piccoli e dei grandi si giovano - ed è bene per noi gli spettatori.
  Io vi son grato di ciò che la vostra parola mi è stata un oppio ed un haschich; voi mi avete fatto sognare, e salire sopra e fuori delle miserie presenti; perciò il vostro nome figura fra quello dei miei liberatori. Certo a parer vostro non sarete in buona compnia; c’è Epicuro, c’è Stirner.... Però fra i moderni, mi è caro additarvene uno, contemporaneo, filosofo come voi e come voi esteta intelligente.
  Questi potrebbe essere un ponte fra noi, ardito se volete, tirato ed arzigogolato, un ponte di sofismi, un ponte del diavolo insomma, o meglio: un filo sottilissimo, etereo, come quelli che Shelley tesseva di chiarore di luna e nebbia mattinale, un filo così fino che voi non lo scorgerete neppure, ma che a me pare legame sufficiente per dichiararci parenti. Voi conoscete di certo la nuova filosofia scaturita in Francia da la giovane mente di Arrigo Bergson. Secondo i punti di vista (che sono creazioni di cose) prese nome di filosofia della contingenza, de l'azione, de la libertà; la si potrebbe dire ugualmente e senza malignare, filosofia dei decadenti, come senza soverchio elogio potrebbe chiamarsi filosofia della vita. Essa ci insegna infatti che sotto la crosta indurita e tutta screpolata con cui noi ci rappresentiamo a noi stessi, scorre, come un torrente di liquida lava pregno di fuoco e coperto tuttavia di grigia apparenza, scorre la vita continua, tumultuosa, eterogenea, non divisibile perchè una, senza mai ripetersi, sempre nuova e sempre instancabile creatrice, sorgente meravigliosa di un armonia, che noi, spezzando la logica, abbandonando la metafisica pratica del senso comune (la più pericolosa perchè la più incosciente) e disprezzando la scienza come incapace a dare il reale, possiamo raggiungere con l'azione profonda e la ricerca di noi


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stessi. Apologìà della vita ìntima, rivendicazione a l'individuo della sua potenza sul mondo esterno, riduzione della scienza a un linguaggio comodo, ad un felice strumento di azione, ad una moneta capace di tesaurizzare gli acquisti del passato e al loro scambio fra gli uomini — tale nei suoi lineamenti la nuova filosofia. Essa ci annunzia la vera vita, non quella delle sanguinose battaglie, o degli spazi velocemente percorsi, che un nuovo e brutale materialismo, filosofia da lottatori e gladiatori, da fantini e facchini ci presenta come superiori esistenze, ma quella profonda e nascosta che consiste nello spettacolo del perenne tumultuoso scorrente flusso de l'io, concessa solo a quelli che ne la ricerca di sè stessi e nella progressiva liberazione da ogni sovrapposta influenza — leggi con eufemismo da l'educazione paterna, religiosa e sociale — hanno trovato qualcosa di proprio, di sentito e di forte, qualcosa che si afferma e nega le esistenze diverse, ma che soprattutto sa da esse separarsi, difendersi, e se occorre, entro sè stessa, e con alto ideale, schiacciarle. Come ogni altra cosa umana, questa filosofia non si presenta a la nostra mente perchè l'accettiamo o la rifiutiamo intiera, ma perchè da essa la nostra scelta e l'arbìtrio eleggano ed assimilino quello che vi trovano di più profondamente rivelatore la nostra persona. Essa non è un dogma cui inclinare la mente, ma uno strumento efficace di liberazione che togliendoci alla catena delle forze naturali, dove ci avevano costretti e saldati le filosofie del determinismo, ci rende l'impero su le cose, ci fa creatori, ci concede la divina grazia del dubbio, e fa del futuro una meravigliosa sorgente di indeterminati e novissimi avvenimenti. Per essa il pensiero perde ogni legge e vaga nella libertà della contingenza; tutto al mondo è possibile, nulla ci è negato, possiamo aspettare ogni cosa; l'impreveduto regna ne l'universo, e sol come gioco dilettevole ed utile noi possiamo crearvi degli uniformi seguiti di fenomeni, e impoverendo il reale riassumerlo in brevi formule e in simboli chiari. E troppo lontano mi porterebbe ricordarvi la bella fioritura di uomini e di opere attorno ai due maestri, al vecchio metafisico precursore Boutroux, al giovane iniziatore Bergson.
  lo voglio solamente con ciò additarvi una terra neutra, un punto franco di incontro fra noi due, così distanti e così separati; e così pure indicare a voi, che solo gli antichi amate, come anche oggi non si è persa la fiamma de l'idealismo, — non quello già dei poetucoli e delle sartine, ma quello filosofico che fa di tutto il mondo un bell'inseguirsi di apparenze, un sogno grazioso, tragico, o comico, un continuo divenire senza principio nè fine. — Questa filosofia è la filosofia del miracolo; ciò che una volta era solo dato a la religione, questa profonda intuizione del formarsi del nuovo, è venuto a poco a poco perdendo terreno; facile sarebbe del resto mostrare che il miracolo religioso non fu che una sorta di determinismo ed a bene studiar la questione apparirebbe che il miracolo è scientifico o la scienza miracolosa. Ma con l'affermazione della novità continua di ogni stato di coscienza, ognuno di questi ritorna a l'antica nobiltà de le cose, a quella del caso, e senza causa e senza effetti introduce in tutto il mondo il meraviglioso. La più grande poesia, la più sublime immaginazione, la maggiore ricchezza di parola e di simbolo non potranno mai significare la copia e la ricchezza e la novità dei nostri stati interni. Certo questa sarà proprietà di pochi spiriti sotterranei, pei quali rivoltando la frase di Teofilo Gauthier, o non esisterà il mondo esterno o esisterà soltanto come una loro continuazione e proprietà.
  Ma quelli che guardano il termometro e senza mettere il naso fuor della finestra parlano di caldo e di freddo, quelli che leggendo la guida dimenticano di intuire la statua o il paesaggio che hanno di fronte, il letterato che conosce la natura nel dizionario, il botanico che la vede nell’ erbario — tutti questi saranno esclusi dalla vita e non possederanno mai la realtà.
  Signore io non so se mi sono bene espresso; la parola, la scritta soprattutto è un tradimento, e dichiararla necessaria per l’uomo è un dichiarare l'errore inerente ad ogni legame fra gli umani; io non son lungi dal vederla come un’invenzione infernale e sento in Cadmo e Faust un’incarnazione Mefistofelica; ogni lettera mi sembra schizzar su la carta, nera e contorta con un’aria ironica e un risolino di sfida; e questo momento stesso sento che il dire mi trascina come un pazzo cavallo, perchè io non finisca la lettera; e davvero se dovessi narrare tutti i tiri di questa farfalla, l’espressione che còlta ne la rete trasporta via il cacciatore con sè, e dovessi rammemorare tutti miei rancori contro essa, non la finirei mai più. Signore, dunque, non so di essermi fatto bene capire; il mio stile, se ne ho uno, ha l'andatura del fanciullo e de l’orso; vi troverete le infantilità de l'uno e la pesantezza de l'altro; vi parrà questa mia, una scucita riunione di digressioni, e troverete che io forse miro più in là che il segno per coglierlo a pieno; — ma il fanciullo e l'orso fan loro strada come i serpi e non retta, ed amano uscire dai sentieri per andare nei campi ove sbocciano i più soavi fiori e trovansi i più dolci frutti; le nocciole saporite e gli alveari di miele grati al palato si trovan nei boschi riposti ed ombrosi. - Ma non voglio più a lungo difendermi; non è a la parola che io mi affido; ma alla sincerità delle mie credenze — [che mai farne di certezze? puzzan di rinchiuso]. Soprattutto io non vorrei che credeste che io scherzi e la mia lettera una celia; sarebbe il più gran tradimento, questo, che io rimprovererei alla mia penna, e voi mi obblighereste a non lasciarla più scorrere sotto gli occhi del pubblico.


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